Le pagine di William Dozza


15/01/03


Gennaio, mese carogna

Che brutto mese gennaio! In dicembre mi sono strafogato: tortelli di magro, anguilla in umido coi cardi, tortellini in brodo, passatelli, cappone arrosto e via via sino al salto della cerniera dei pantaloni. Ho deciso di mettermi a dieta. Ho deciso di mollare dieci chili, trattabili a otto e comunque non meno di sette. Venduto! Quando si comincia? “Subito” geme la cintura dei pantaloni che sta resistendo all’ultimo buco. C’è da riflettere: prima del venti non è possibile: il 17 c’è la festa del mio Santo protettore, il 18 c’è il pranzo Gamae, il 19 c’è il pranzo del battesimo di Nicole…
Al pranzo Gamae devo andare; ci sono amici che vedo solo in questa occasione. Spero ci sia anche Giovanni Magnanini, sempre così carino e gentile. Mi ha scritto per farmi gli auguri e per anticiparmi una copia con dedica della nuova edizione della sua “Storia della trattrice italiana dalle origini al 1980”. Io, che il libro l’ho già comprato e letto, dovrò scusarmi con lui di quello che sto per scrivere.
Voglio bene a Giovanni come a un fratello. Perché un fratello? Perché con un amico si fa a botte e ci si lascia; con un fratello si litiga e te lo tieni!
Spesso chiedo: “Giovanni, hai della tecnica sul “Vender DR70”? Sai qualcosa su “Carassiti e Guazzaloca”? E puntualmente arriva una busta con dentro la fotocopia di un depliant accompagnato da una letterina scritta con una macchina d’epoca rigorosamente manuale alla quale ogni tanto qualcuno cambia il nastro di seta ma si dimentica di fare pulizia ai caratteri. Potrei ipotizzare una Olivetti studio 44 con carattere elite. La lettera, scritta in entrambe le parti del foglio, va letta subito al centro dove sta scritto che lui ha trovato una piccola cosa, che non era quello che cercava, ma che la manda ugualmente scusandosi di non poter fare di più. Io so benissimo che ciò che mi ha mandato corrisponde a ciò che desideravo e basta, avendo con questo la conferma che senza Magnanini spesso non saprei dove sbattere la testa.
Sarete curiosi di sapere cosa dice la prima e la seconda parte della lunga lettera. Niente. Ovvero sempre le stesse cose. Nella prima parte racconta come lui in un certo anno ebbe l'occasione di salvare in un certo posto tutto il materiale di propaganda che stava per essere buttato. Non proprio tutto, ma tra quello che non riuscì a recuperare c’era proprio ciò che io desideravo. Tuttavia una cosetta da niente era riuscito a trovarla; non mi sarebbe servita a niente perché è niente di fronte a ciò che non c’è più, tuttavia per l’amicizia…
La seconda parte è invece dedicata alla sua salute malferma, agli acciacchi dell’età, alle gambe che non lo sorreggono più, al fatto che ha dovuto andare in clinica per degli esami…e tutto questo non solo da oggi che di anni ne ha 83; lo conosco da vent’anni e in vent’anni non ha cambiato niente; forse ha aggiunto qualche altro acciacco ma la lunghezza del lamento è sempre rimasta la stessa. La signora dice che è così da quando erano fidanzati! A volte quando ascolta, sembra perso ma non gli scappa un respiro. Attento anche alle cose esterne che capitano: è stato una delle tre persone che mi ha telefonato il giorno dopo l’uragano che ha colpito Moniga questa estate esprimendomi la sua solidarietà e la sua comprensione: lui una botta così l’aveva già avuta e sapeva cosa voleva dire subire un disastro del genere!
Credetemi quando dico come ho sempre detto, che senza Magnanini oggi forse non saremmo insieme al pranzo del Gamae perché il Gamae sarebbe morto molto tempo fa. E’ stato quel brontolone, testardo, accentratore e permaloso di Giovanni a tirare le fila degli idealisti e poeti come Vinsani, Nicolini, Fontanesi e altri che lanciavano i loro sogni, li organizzavano anche, ma c’era sempre il Magnanini che alla fine faceva i conti, che teneva la corrispondenza, che mandava le fotocopie dei depliant, che chiedeva il rinnovo delle quote, talchè il Gamae è un gruppo che possiede degli affiliati mai visti e che mai vedremo perché stanno in Basilicata, in Puglia, in Campagna. All’Eima di Bologna con una mano regalava l’opuscolo e con l’altra distribuiva la tessera e incassava la quota associativa.

Ho deciso a Capodanno che nel 2003 sarò cattivo, anzi, carogna sino alla perfidia ed è giunta l’ora di cominciare.

Ho davanti il libro di Magnanini “Storia della trattrice Italiana dalle origini al 1960”, edito da Ermanno Albertelli di Parma, acquistato con interesse perché Magnanini è sempre Magnanini, perché un suo scritto non passa inosservato nel bene e nel male: ultimamente solo nel male!
Possiedo la precedente edizione di questo volume e ho avuto occasione di evidenziare allo stesso autore numerose inesattezze giustificabili se vogliamo da una carenza di documentazione condita però da una ricerca superficiale. Non ho fatto polemiche perché alloral’edizione era in esaurimento e non volevo sembrare quello che spara sulla Croce rossa! La nuova edizione, ho pensato, sarà corretta e poi si c’è scritto che è ampliata…Manco per sogno! Il testo è stato ricopiato così com’era pieno di sciocchezze alle quali sono state aggiunte altre sciocchezze. Insisto: non voglio sparare sulla croce rossa, ma se l’autoambulanza contiene l’antrace, mio compito è mettere in guardia i passanti di girare al largo!
Magnanini scrive nella prefazione: “Sicuramente ci saranno inesattezze e dimenticanze (sarò grato a quanti volessero segnalarmele)…”. Non ho capito se ha voluto fare dell’ironia o del sarcasmo. Ma quali inesattezze è dimenticanze se ci sono errori grandi come case e buchi come voragini!
Per cominciare leggo il titolo: “Storia …eccetera…dalle origini al 1960”. Apro una pagina, la prima e trovo “Storia … eccetera… dal 1900 al 1980”. Qual è la data giusta? Bella domanda. Scorro le pagine e trovo che qualche capitolo si spinge sino al 1980 nel testo, ma si ferma al 1960 nelle tabelle (Landini e Cassani-Same); qualcuno come quello Fiat si ferma al 1957. E allora?
Comincio a leggere: il testo iniziale riporta esattamente gli errori della edizione precedente. L’autore confonde la “trattrice tipo B” con l’”aratrice pavesi P4” (vedere le ultime pagine della sezione a colori) con tutte le considerazioni espresse che vanno a farsi benedire, tipo il “traino delle pesanti artiglierie su per le mulattiere del Montello…”. Volendo approfondire una fonte citata in calce, alla pagina 145 del “trattori agricoli” edito dalle Paoline, scopro che questo libro ha solo 111 pagine!
Dopo in 14 anni l’autore non ha corretto nemmeno gli errori più grossolani tipo la favola dell’ingegner Rundolf, (ripetuta tre volte: pagine, 12, 35, 67) che inventa il testacalda con 10 anni di anticipo.
Sfoglio velocemente cercando qualcosa di nuovo e mi trovo alle pagine 22 e 23 dove dieci grafici illustrano la produzione negli anni 1950-1955 di dieci costruttori… anonimi. Si, ci sono i grafici ma non ci sono a nomi delle ditte. Ho pensato che forse c’è un premio per chi indovina, oppure che i nomi vengono estratti sulla ruota di Bari…
Dice la presentazione che “La parte iconografica è stata rivoluzionata attraverso l’inserimento nel testo di 189 foto di trattori…” Andiamo a vedere questa parte nuova. Non è il mio giorno fortunato: nel primo capitolo, quello che riguarda la Bubba, su 19 foto di trattori 16 date sono sbagliate e 3 buone! Sedici errori solo nella date delle foto. Incredibile quando nello stesso capitolo è riportata una tabellina con le date giuste per ogni modello… tabellina copiata pari pari, dal mio libro “Trattori testacalda italiani” e senza citare la fonte, il che non è bello, anzi è una cosa che un gentiluomo non fa.
Giovanni puoi dare la colpa all’editore e io sono d’accordo con te perché tu da solo non saresti stato capace di fare un simile disastro! E’ troppo; qualcuno ti deve aver dato una mano e non da poco. Il precedente volume che te lo eri visto da solo, al confronto è un sogno! Ermanno è capace di tutto, anche di non passarti, non dico un editing, ma anche uno straccio di correttore.
Io ad un editore così gli farei causa: chiunque apra quel libro pensa che Giovanni Magnanini sia improvvisamente andato fuori di testa. Fallo ritirare dalla circolazione: mettiti in mano ad un buon avvocato che chieda i danni. Non importa che sia un principe del foro: con in mano una prova del genere, vincere è come bere un bicchiere d’acqua! Certo che se le copie sono già in giro penso sarai costretto ad espatriare. Vieni sul Garda: sarò lietissimo di ospitarti sino che non si placa la buriana.
Sono stato abbastanza carogna?




Bedosti ha lasciato la Landini.
I collezionisti perdono un amico


I collezionisti italiani hanno perso un amico. Andrea Bedosti, non è più amministratore delegato della Landini e della McCormick, posto dal quale ha sempre guardato con occhio attento, competente e benevolo al collezionismo dei trattori e delle macchine agricole.
Autore di opere tecniche e storiche sui trattori, Bedosti è stato il manager che ha saputo individuare e gestire quella politica che ha consentito alla Landini di passare da una situazione a dir poco difficile ad una dimensione mondiale come mai la casa di Fabbrico era giunta. La sua gestione ha consentito alla Landini di acquisire tra l’altro la Valpadana, la Laverda, la McCormick.
Andrea Bedosti è stato il primo e il solo costruttore di trattori italiano a comprendere quanto siano importanti le tradizioni storiche nella valorizzazione di un marchio. Se oggi il collezionismo italiano parla quasi esclusivamente Landini, il merito è il suo e i landinisti gli devono molto quale sponsor di numerose manifestazioni che col suo apporto sono maturate e cresciute.
I collezionisti in generale gli sono grati per aver portato nei convegni e nelle aule universitarie la voce dei loro trattori, una voce storica attenta, vivace, documentata, mai banale.
Andrea Bedosti è il nuovo amministratore delegato di Volvo veicoli industriali: in bocca al lupo per il nuovo lavoro!






Ferdinand Porsche
costruttore di trattori


Gerolamo, visitatore piemontese, mi invia una garbata letterina che devo ridurre per ragioni di spazio.

“Mi è stato offerto un trattore Porsche da 12 cavalli a un prezzo che ritengo corretto in base a quanto ho letto su l’Informatore Agrario. Non avendo documenti, ho cercato di individuare un Porsche di quella potenza, ma di questo costruttore è difficile trovare qualcosa che non sia in tedesco… mi piacerebbe sapere se si tratta veramente di un trattore Porsche o un assemblaggio di vari pezzi… E infine, il Porsche dei trattori è lo stesso di quello delle automobili? ”

Caro Gerolamo, la macchina che le hanno offerto, sempre che sia originale come mi sembra d’aver capito, è un trattore progettato da Porsche e costruito dalla Allgaier a partire dal 1952. Rappresenta il più piccolo della serie che andava appunto dai 12 sino ai 44 cavalli e che aveva come base la canna da 95x116 equivalente a 822 centimetri cubi come il suo, oppure 90x108 che non fu però mai usata singolarmente.
Andando con ordine, il celebre Ferdinand Porsche si dimostrò un genio sia per le automobili che per i trattori. Il suo primo trattore agricolo nacque a metà degli anni Dieci quando, direttore tecnico della Austro Daimler, costruì il "Kraftprotze" o "cavallo Daimler": un veicolo leggero (1700 kg), dotato di un motore a quattro cilindri raffreddato ad aria di 14,5 CV, ruote anteriori motrici di 150 cm, adatto a sostituire i cavalli anche nei traini militari. Esiste una fotografia nella quale il "Kraftprotze" traina 3 aratri in fila e, al governo del primo, si identifica chiaramente Ferdinand Porsche in bombetta e cravatta! Ma nel 1915 non tirava aria favorevole per gli investimenti in agricoltura.
Passarono gli anni. Porsche si impegnò in diversi progetti il più importante dei quali fu l'auto del popolo, cioè la Volkswagen. Consegnato questo progetto alla fine del 1936, trovò il tempo per dedicarsi alla realizzazione di un trattore economico e leggero da costruirsi su vastissima scala: una specie di Volkswagen dei campi. Al progetto "Wolks-schlepper" venne dato il n.110 (centodecimo progetto dello studio Porsche) e consisteva in un veicolo in cui il motore bicilindrico da 12 cavalli era posto immediatamente davanti all’asse posteriore, a lato del guidatore; anteriormente c’era un cassone per il trasporto di qualsiasi cosa. Seguirono i prototipi “111”, classico col motore anteriore a benzina, diesel oppure a gasogeno, “112”, bicilindrico a V diesel di 15 Cv e infine il prototipo “113” che fu quello definitivo, bicilindrico in linea per il quale un decreto del governo dell'inizio del 1940, stabilì una produzione di 300 mila esemplari l’anno, in un gigantesco stabilimento che sarebbe sorto a Waldbrol, in Westfalia, tra Colonia e Siegen.
L'impegno del famoso progettista non passò inosservato tant’è vero che su una rivista specializzata italiana, "Macchine e Motori Agricoli" apparve nel 1942 una notizia secondo la quale "l’ing. Porsche ha progettato un trattore popolare e uno stabilimento per produrlo…che entrerà in funzione dopo la vittoria per lavorare le terre conquistate”...Nell'attesa, Porsche ricevette l'ordine di traslocare i suoi stabilimenti di Stoccarda - Zafenhausen troppo sovente bombardati, e di trasferirsi a Gmund, tra le montagne della Carinzia, una cinquantina di chilometri a nord di Villach, in Austria.
Finita la guerra, i piani vennero rivisti ancora una volta e Ferdinand Porsche in persona deliberò il Diesel- schlepper 313, bicilindrico in linea da 17 Cv a 2000 giri, 1400 cm3, 2 cilindri raffreddati ad aria che fu effettivamente costruito nella officina di Gmund in un numero insignificante di esemplari sino a quando venne ceduta la licenza di costruzione alla Algaier, una rinomata ditta di Uhingen, vicino a Stoccarda. Al salone dei Francoforte della macchina agricola del 1950, fu lo stesso Ferdinand Porsche che tenne a battesimo l'AP 17, dove A sta per Allgaier, P per Porsche e 17 per i cavalli di potenza. Il veicolo, modernissimo per quel tempo, ottenne un successo immediato cosa che permise alla fabbrica di ampliare nel 1952 la gamma con un monocilindrico da 12 e un 3 cilindri da 33 cavalli. Nel 1953, ‘54, ‘55 usciranno ulteriori modelli da 22, 44, 16 e ancora 22 cavalli. La Porsche (Ferdinand era scomparso nel gennaio del 1951) non si ritenne tuttavia soddisfatta dai quantitativi costruiti dalla piccola ditta tedesca e nel 1955 si riprese la licenza di fabbricazione che trasferì alla nuova fabbrica, la Porsche-Diesel Motorenbau che nel frattempo era sorta a Friedrichshafen in collaborazione con il colosso metallurgico Mannesmann. I modelli vennnero rivisti e ridotti a quattro: Junior (1cilindro, 17 cv); Standard (2 cilindri, 30 cv); Super (3 cil, 44 cv) e Master (4 cil, 60 cv). Il successo continuò: nel 1956 i Porsche si piazzarono al secondo posto nelle immatricolazioni di trattori in Germania mentre l’esportazione procedeva a gonfie vele. A questo punto però l'automobile assorbiva tutti gli interessi della casa tedesca che decise di chiudere con il settore agricolo alla fine dell'anno 1966.
La produzione totale Allgaier si pensa abbia raggiunto le 25 mila unità, mentre il doppio dovrebbe essere quella attribuibile alla Porsche Diesel.

Un volume in italiano che può aiutare ad allargare la visuale sul costruttore, è “La Saga dei Porsche” di Ferry Porsche e Gunther Molter, edito da Giorgio Nada che può trovare alla libreria dell’automobile di Milano.



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ALLGAIER A111 sistema Porsche


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modello JUNIOR della PORSCHE-DIESEL


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Catalogo del A111 sistema PORSCHE


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Catalogo del PORSCHE-DIESEL modello JUNIOR V





Cinquant’anni fa, una storia vera

La Porsche di Walter

Sono passati cinquant’anni ma uno come Walter non si dimentica facilmente. Buon ballerino, assiduo del “Drago verde”, sala da ballo estiva di fronte alla Ducati di Borgo Panigale: pista rotonda in piastrelle rosse, orchestra di Enghel Lualdi, 200 lire di ingresso per gli uomini, la metà per le donne. Walter, meno di trent’anni, aspetto gradevole nel complesso, come ciascuno di noi, riusciva a rimorchiare praticamente tutte le sere: si ballava il giovedì e la domenica. Scompariva prima della fine della serata e non lo vedevamo più sino alla volta dopo. Che se andasse sempre con una ragazza diversa ogni volta era assodato, dopo che uno di noi si era messo a spiarlo; lo seguì pure e lo vide assieme alla ragazza scomparire lungo la strada vicina. Seguirlo oltre sarebbe stato eccessivo e anche vigliacco: non si va a guardare uno che potrebbe fare quello che noi faremmo al posto suo. Verso la fine della stagione, fu lui stesso a spiegarsi. - “Come bere un bicchiere d’acqua: la invito a ballare, gli chiedo da dove viene. Propongo di accompagnarla a casa. Con che cosa? In Porsche! Quattro su cinque dicono di si.”
- Ma quale Porsche! Tu non hai una Porsche. Non ti abbiamo mai visto in Porsche.
- “Io ce l’ho una Porsche, è di mio zio l’ortolano che me la presta in cambio di qualche lavoretto; arrivo prima degli altri e la parcheggio nella strada dopo, al buio. Quando iniziano gli ultimi balli, sgattaioliamo senza essere visti e via verso la mia Porsche, une trattrice da 12 cavalli, dove i parafanghi dietro (i soli) sono piatti come una panca, sulla quale metto un plaid”.
- Ti prenderanno a schiaffi visto che li hai fregate!
- “Neanche per sogno! La prima reazione è quella di tornare indietro, ma non lo fanno per via delle amiche. Spiego che per il piacere di stare un po’ con lei, farei qualsiasi cosa. Lusingata, fa un po’ la sostenuta (ma non per troppo tempo se no escono tutti e ci possono vedere) e alla fine sale: sempre meglio che andare a piedi o sulla canna di una bicicletta”.
- Come finisce?
-“Alla grande! Un bacio, un bacio “ricco” intendo, un bacio in apnea da un minuto e oltre su una Porsche da 12 cavalli, può far andare fuori di testa chiunque. Se poi la cosa evolve, la mia Porsche non si impantana e non slitta: posso andare tra i rovi, sui sassi, guadare il Reno sino all’isoletta di sabbia, sicuro che nessuno passerà mai di li”. - Attualmente come sta andando.
-“Devo cambiare: si è cominciato a sussurrare; le nuove sono sempre meno e stanno premendo quelle che chiedono il bis!”.